STORIA DELLA PIEVE E PRESENTAZIONE DELL’EDIFICIO

 

Dedicata a San Martino di Tours, che assieme a San Giorgio e San Michele Arcangelo divenne uno dei patroni longobardi convertiti al cattolicesimo, la chiesa che si posa sul dorso del colle vicino al corso dell’Agno a circa un chilometro da Brogliano, è la matrice di tutte le chiese della Valle, custode della presenza longobarda nella zona. Nella prima organizzazione ecclesiastica del territorio vicentino, Brogliano e tutta la Valle dell’Agno sottostavano alla Pieve di S. Maria di Montecchio Maggiore dalla quale si staccarono nel XIV secolo quando la chiesa di San Martino fu elevata alla dignità pievana. Già dall’antichità si trovava al centro di un piccolo cimitero, luogo di sepoltura anche per le popolazioni al di fuori della vallata, cimitero dal quale è circondata anche oggi. L’attuale chiesa non è la prima costruita nel luogo; questa fu infatti preceduta da un’altra, oggi non più esistente, messa alla luce da un’alluvione nell’aprile del 1938. In quell’occasione  “il torrente Agno uscì dal suo alveo naturale, duecento metri circa a sud dall’attuale chiesa di San Martino e le acque  tumultuose rimossero lo strato di terreno alluvionale lungo l’argine destro. Quando il torrente tornò nella sua sede naturale, apparvero i ruderi e la pavimentazione di un antichissimo luogo di culto cristiano, corrispondente nella sua semplicissima struttura agli edifici sacri che fin dall’alto Medioevo costellarono anche il territorio vicentino: un’aula rettangolare orientata in direzione est-ovest, culminante in un’abside semicircolare” .


pievesala
L’impianto romanico dell’edificio attuale fa pensare al XII secolo come epoca di ricostruzione, ma probabilmente anche la forma con cui si presenta questo secondo edificio oggi ai nostri occhi non è quella originale. Leggendo attentamente il testo della visita pastorale effettuata dal vescovo Michele Priuli nel 1580, alcuni studiosi sono stati indotti ad anticipare di almeno due secoli la costruzione della chiesa. Nel verbale della visita si legge infatti che la chiesa “possiede due cappelle, delle quali la seconda sta per cadere in rovina”. S. Martino di Brogliano rientrerebbe quindi nel ristretto numero di chiese bi-absidate scoperte nel vicentino, l’origine delle quali risalirebbe al IX sec d.C., quando anche in Italia si diffuse la tipologia della chiesa con due absidi affiancate.

L’attuale S. Martino sarebbe quindi stata costruita nel IX-X sec., ricostruita in forme romaniche tra l’XI e il XII secolo e fatta oggetto, nei secoli successivi, di intrusioni di stile rinascimentale e barocco. Questa è un’ipotesi suggestiva e abbastanza probabile; per confermarla con certezza sarebbe però  necessaria  una seria indagine archeologica che potrebbe togliere tutte le riserve  in merito.

L’aula è rettangolare, a navata unica con abside  incavata nel muro di fondo. L’impostazione delle mura è originale, mentre l’interno e l’abside hanno subito interventi di epoche posteriori.
Il campanile, inserito tra lo spiovente occidentale ed il muro di mezzogiorno, invade all’interno il vano della chiesa con una colonna di pietra a base quadrangolare reggente due archi a tutto sesto culminante in un capitello di marmo bianco lavorato di sapore tardo romanico.
Nella parte meridionale sono conservate due monofore romaniche forse originarie ricavate sotto lo spiovente sostenuto da larghe lastre di pietra. Altre aperture risalgono ad epoche posteriori presumibilmente costruite durante un intervento di ristrutturazione nella seconda metà del 1500. Contemporanea a questo intervento è l’apertura della porta sul lato sud-est ed alcune modifiche al campanile.


Inseriti nella muratura ci sono alcuni rari reperti (sculture di recupero) di origine longobarda che molto probabilmente provengono dalla precedente costruzione che sorgeva a valle.  In particolare facciamo riferimento ad una pietra scolpita su due lati inserita nel muro d’angolo della facciata ad un’altezza di circa quattro metri sullo spigolo settentrionale. La scultura scolpita sul lato meridionale, nonostante la rovina portata dal tempo, ci presenta la figura di un guerriero coperto da una veste che giunge fino alle ginocchia, con i capelli che scendono fino alle spalle, divisi sulla fronte da una evidente scriminatura e con una lancia di epoca longobarda. Sul lato settentrionale la pietra presenta una scultura raffigurante due pavoni che si affrontano con la testa abbassata rivolta verso un piccolo vaso. Il motivo tipologico è paleocristiano e simbolizza il cristiano che umilmente va ad abbeverarsi alla fonte della vita che proviene da Cristo, simbolo dell’immortalità e della pace; si è ipotizzato si tratti di una base o di un elemento di un monumento di carattere funerario. 
Verosimile l’interpretazione di un’invocazione di pace eterna per il guerriero longobardo deceduto.

Il longobardo con lancia (sopra) ed i due pavoncelli (lato)pievelongobardo
Gli esterni sono rifiniti con muratura in sasso lasciato a vista, mentre le parti di impianto (abside e navata) sono lavorate in modo grezzo e completate da elementi in cotto. 

L'interno della pieve è caratterizzato dalla presenza di quadri, mobili e arredi sacri. Elemento molto caratteristico è l’acquasantiera, sistemata all'interno della chiesa sulla parte interna del campanile. Questo elemento risale forse all'età romanica ed è a forma dodecaedra.  Il cimelio di pietra alto circa 50 cm. è leggermente rastremato verso l’alto e presenta 12 regolari sfaccettature sulle quali sono incise delle piccole porte disposte su tre ordini alternati e sovrapposti. Un piccolo bordo conclude la parte inferiore,  mentre nella parte tronca superiore è ricavata una coppa poco profonda di epoca successiva che permette l’uso della scultura come acquasantiera. Le dodici facce e le parti scolpite evocano significati biblici.  La scultura  che per il suo simbolismo può essere assimilata alla produzione di epoca paleocristiana potrebbe essere stata il basamento di una vasca battesimale andata perduta.
Base acquasantiera  (sopra)
In seguito alla drastica ristrutturazione del XVI secolo  vengono inseriti elementi di arredamento del periodo. Sono presenti pochi elementi sacri, come le due lampade votive in bronzo fuso cesellato ed inciso. Di epoca barocca sono gli altari interni e la cappella ricavata sulla parete settentrionale. L’interno conserva un altare settecentesco ed è in parte affrescato. Durante alcune recenti ricerche sono venuti alla luce infatti alcuni affreschi databili presumibilmente tra il XIII e la metà del XIV secolo e riconducibili probabilmente ad una stessa mano.
Il primo affresco raffigura la trinità: il Padre Eterno in trono che sostiene il Figlio in croce e tra il volto del Padre e del Figlio vi è una colomba che simboleggia lo Spirito Santo.
Gli altri due affreschi sono in uno stato di degrado tale da nasconderne più o meno la pregevole fattura. Quello meglio conservato raffigura una santa che regge nella mano una spiga o un ramoscello; sul lato destro sono incise due corone.

Nel secondo, quasi indecifrabile, la scena è composta da quattro personaggi di cui uno è di colore e tre sono vestiti con lo stesso tipo di mantello, segno probabile di appartenenza alla stessa confraternita. Dal fondo azzurro, dove spiccano i volti dei personaggi, scende una mano stigmatizzata che regge una croce lobata.

pievemartinoVITA DEL SANTO
Martino è vissuto nel IV secolo, epoca in cui la libertà religiosa, introdotta dall’Imperatore Costantino, condusse alla fine dell’epoca dei martiri e portò alla costituzione di un nuovo modello di uomo cristiano. Martino fu principalmente un predicatore del Vangelo, un uomo totalmente impegnato nell’evangelizzazione; dimenticate le  preoccupazioni delle persecuzioni ormai superate, poté vivere la sua vita facendone un luminoso esempio di vita evangelica.

Martino nasce sul finire del 336 o all’inizio del 337 a Sabaria, località della provincia romana della Pannonia, oggi Szombathely  in Ungheria. Nel 341 ca. Martino viene in Italia seguendo il padre ufficiale dell’esercito romano; qui trascorre la sua infanzia e riceve la prima educazione scolastica. Nonostante i genitori pagani, Martino all’età di dieci anni chiede, senza ottenerlo, di ricevere il battesimo; manifesta il desiderio di vivere come i monaci del deserto in penitenza e preghiera. Nel 351 nonostante i suoi desideri è costretto ad arruolarsi nell’esercito. Nel 353 avviene l’episodio  che più di ogni altro ha segnato e colpito la fantasia popolare, divenendo simbolo dell’amore di Martino per i poveri che in quel tempo non godevano di nessuna protezione né politica, né assistenziale: il santo, in una gelida mattina d’inverno, alle porte della città di Amiens, divide il suo mantello militare con un povero sofferente per il freddo. La notte seguente Cristo gli appare vestito di quello stesso pezzo di mantello; da questo momento in poi Martino si impegna nel cammino che lo porterà l’anno successivo al battesimo e all’abbandono delle armi. A 20 anni lascia definitivamente l’esercito e si reca da Ilario, vescovo di Poitiers, per iniziare la tanto desiderata esperienza monastica, ma proprio allora Ilario viene esiliato dagli ariani a causa della fede cattolica e quindi Martino è costretto a raggiungere la Pannonia, dove ritrova i suoi genitori e fa ricevere il battesimo alla madre. Tra il 357 e il 360 il santo viaggia tra i Balcani e l’Italia, fondando un eremo nei pressi di Milano, trascorrendo un periodo di vita eremitica nell’Isola di Gallinara e cominciando a vivere la vita monastica a Ligugé in Francia. Diversi seguaci lo raggiungono; comincia ad esistere una piccola comunità, primo segno del monachesimo occidentale. Gli anni tra il 360 ed il 370 sono dedicati allo studio della Scrittura e al lavoro di predicazione e conversione delle popolazioni rurali. Intanto il vescovo Ilario torna dall’esilio, ordina Martino prima diacono e poi prete. Nel 371 Martino compie una serie di miracoli risuscitando un catecumeno, un giovane schiavo ed un bambino. Raggiunta la fama di santo e di guaritore viene eletto dal popolo di Tours vescovo della città. La sua scelta di essere vescovo, ma di continuare a vivere come monaco ha un forte valore simbolico  e non verrà condivisa dagli altri vescovi della Gallia che avevano già criticato il suo aspetto estremamente povero e dimesso, parlando di lui come  di “ un uomo dall’aspetto pietoso, dalle vesti luride, dai capelli scomposti”. Tra il 371 e il 372 fonda il monastero di Marmoutiers, alle porte della città di Tours. Da questo momento in poi dedica la sua vita quasi interamente all’evangelizzazione delle popolazioni della campagna. Si reca più volte a Treviri  svolgendo una serie di viaggi dove la sua funzione principale è quella di essere  paciere nel rispetto dei valori cristiani. Muore l’8 novembre 397 a Candes, nei pressi di Tours, mentre sta compiendo un’opera di pacificazione. L’11 novembre, giorno in cui si svolgono i suoi funerali, il calendario liturgico della Chiesa fissa la sua memoria.

A partire dal 371 , pur avendo acquistato autorità e prestigio nella Chiesa di Tours , Martino continua ugualmente a vivere la sua vita di monaco, in comunità di vita con i fratelli, condividendo con loro povertà, umiltà, castità, penitenza e preghiera. La povertà che vive è tale da provocare episodi curiosi; successe ad esempio che un gruppo di soldati lo avesse bastonato, perché vedendolo vestito in modo miserabile, lo  scambiarono per un vagabondo che stava spaventando i loro cavalli. Martino è lontanissimo dal lusso e dall’apparato dignitario della Chiesa. Ama recarsi quotidianamente a Tours per celebrare l’ufficio divino, per ricevere i fedeli, soprattutto i più poveri. I prigionieri, i detenuti e i condannati a  morte sono destinatari della sua azione caritativa, tanto che tutto il denaro che riceve in dono viene usato per riscattarli. La predicazione, gli episodi miracolosi legati al suo potere taumaturgico lo accompagnano durante il suo infaticabile impegno di annunciare il Vangelo alla gente semplice delle campagne. Per consolidare il lavoro pastorale  di evangelizzazione fa costruire chiese ed eremitaggi nei luoghi dove  sorgevano precedentemente templi pagani o luoghi sacri agli dei. 

Il fascino, la forza e il carisma di un personaggio che si batté per ideali di non violenza, di povertà di difesa dei più deboli rimangono vivi anche dopo la sua morte. La venerazione di cui gode in vita si trasforma in vero e proprio culto. Il santo che aveva un posto speciale nel cuore degli uomini del suo tempo diventa un santo universale. La fama e la devozione di San Martino si diffonde in tutta Europa e in particolare in Italia nel secolo VIII, affermandosi nel secolo IX con l’avvento dei Franchi. Nel vicentino molte sono le chiese a lui dedicate; la nostra Pieve di San Martino a Brogliano ne è un bell’esempio.
Il santo che si priva di parte del suo mantello per donarlo ad un povero entra nella tradizione popolare che lega l’11 novembre, ricorrenza della sua morte, ad una serie di detti connessi con la leggenda secondo la quale il clima si fa in quei giorni più mite. Ricordiamo il proverbio “l’estate di San Martino dura tre giorni e un pochettino”.
La sua importanza e diffusione nei secoli è testimoniata da molte opere d’arte che ne rappresentano la vita, nei suoi momenti più significativi.
Menzioniamo tra tutte la cappella nella basilica inferiore della Chiesa di San Francesco ad Assisi, affrescata da Simone Martini nella prima metà del Trecento raffigurante dieci tra gli episodi salienti della vita del santo: La divisione del mantello, Il sogno, L’investitura a cavaliere , La rinuncia alle armi, Il commiato da Sant’Ilario, La messa miracolosa, Il fanciullo risuscitato, Il miracolo del fuoco, La morte, Le esequie. 

CATECHESI

Martino è stato nei secoli e fino a pochi decenni fa venerato e vivo nella credenza della gente. Domandiamoci se anche oggi questa figura può aiutarci lungo il cammino di cristiani e chiediamoci quali sono le scelte della sua vita che possono essere esempio per noi oggi uomini del terzo millennio.

-    Martino: il vescovo “monaco”:
Ad un certo punto della sua vita, Martino comincia ad assolvere funzioni di pastore della Chiesa con prestigio ed autorità, ma della carica episcopale rifiuta il lusso e l’apparato dignitario. In un momento in cui i Vescovi cominciano ad assomigliare a funzionari imperiali, Martino vuole  restare ”monaco” in comunione di vita con i fratelli monaci, restando unito a Gesu’ Cristo nella preghiera, servendo gli uomini con i suoi umili mezzi. Resta un uomo al servizio degli altri, guarendo i malati, predicando ai contadini, invitando l’imperatore alla pace e alla giustizia. In un momento in cui la Chiesa comincia a contare sempre di più nella società, rischiando di contaminarsi anche con il potere imperiale, sarebbe stato più comodo e più facile adeguarsi e seguire la scia. Martino invece continua a vivere secondo un ideale di fraternità evangelica, fonda un eremo a pochi chilometri dalla città dove si segue la regola della povertà, della penitenza e della preghiera.
Per quello che riguarda la nostra vita di cristiani oggi, l’esempio di Martino in questo senso ci indica chiaramente che la strada giusta da seguire è quella di non lasciarsi attrarre dal lusso e dalle facilitazioni che sembrano derivare dal potere. Scegliere le vie più facili e comode che portano a vantaggi immediati  significa spesso perdere i valori della giustizia e della ricerca e salvaguardia della pace.
Nonostante le cariche  episcopali, Martino non si lascia distogliere dai fondamenti in cui crede : la fede, la preghiera, la comunione   con i fratelli. 

-    Martino e la preghiera:
La vita di preghiera, la vita sacramentale è essenziale all’essere cristiani e quindi va salvaguardata. Martino non si lascia distogliere da questi fondamenti mai. In questo senso anche noi, anche se immersi in un mondo frenetico, pieno di cose da fare, da vedere, pieno di prove da superare, dobbiamo conservare un momento nella nostra giornata di incontro profondo e intimo con il Signore.
-    L’amore per i poveri:
L’amore del santo per i poveri è una costante della sua vita. In un’epoca in cui i poveri non godevano di protezione né giuridica, né assistenziale i Vescovi del IV e del V secolo si adoperavano nelle loro predicazioni spingendo tutti i fedeli cristiani a condividere i loro beni materiali. La differenza di Martino, lui stesso vescovo, è che lui non si ferma alla predicazione, ma vive personalmente una vita  povera. La sua ricchezza era Cristo e la verità cristiana, libero da preoccupazioni mondane e dal benessere materiale, disponibile alla condivisione con i fratelli. La famosa immagine di Martino che divide il suo mantello con il povero è noto a tutti ed è quindi giustamente il simbolo del suo amore per i poveri in senso lato, il simbolo della condivisione.

La condivisione che deve accompagnare la nostra vita di cristiani non può però riguardare solo i beni materiali, ma anche qualcosa di più profondo.  Ecco allora che spartire il nostro tempo ascoltando le persone attorno a noi che cercano un consiglio, una parola di conforto, spartire  i nostri talenti, rendendoci disponibili ad aiutare chi ha bisogno della nostra esperienza, delle nostre capacità diventa fondamentale per il cristiano di oggi.

 

Copie della Nuova Guida della Pieve la potete richiedere  dopo l'11 di novembre 2010  con un'email qui indicando :

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